Lilian Thuram professore di educazione e civiltà a Pontevico. Un modello per i giovani
Dai grandi palcoscenici del calcio mondiale alle scuole europee. È una storia da “cartellino verde” quella di Lilian Thuram, che dopo aver appeso gli scarpini al chiodo ha dato vita ad una fondazione che porta il suo nome, il cui slogan è "educazione contro il razzismo". Venerdì 4 ottobre il campione francese francese ha incontrato i ragazzi della scuola media Giovanni XXIII di Pontevico al teatro "Le Muse" per un momento di riflessione sui temi che più gli stanno a cuore.
L’ex difensore di Parma e Juventus ha voluto ringraziare i giovani bassaioli per i video che hanno prodotto (in allegato accanto a quello realizzato dai campioni dal quale hanno preso spunto). L’autore del libro "Le mie stelle nere" li ha coinvolti in un discorso fatto di interazione e gioco, poi è nata un'autentica intervista condotta dai ragazzini.
Quali sono gli ostacoli nella lotta al razzismo?
"La mancanza di cultura e l'assenza di un incontro che genera una relazione, ma anche il disinteresse a parlare del problema, anche in famiglia. La prima persona a spingermi a desistere fu mia madre: "Perché parli di queste cose – diceva – fai il calciatore, hai i soldi, a cosa ti serve?".
Quando hai conosciuto il razzismo?
"A 9 anni, quando arrivai a Parigi dalla Guadalupa. C'era un cartone animato con una vacca nera stupida e una vacca bianca intelligente. A scuola mi chiamavano Noiraude, come la vacca stupida. Io soffrivo molto".
Negli stadi sei stato mai insultato o discriminato?
"Sì, il verso della scimmia è un classico, ma quegli insulti non mi toccavano. Era un problema loro, non mio. Quelle persone vanno aiutate perché vivono soffrendo senza esserne consapevoli. Il razzismo è una violenza innanzitutto psicologica. Chi dice che i "buu" allo stadio non sono razzismo è un ipocrita".
Come si può cambiare la società?
"Serve coraggio per riuscirci, dobbiamo sconfiggere una visione vecchia del mondo imposta da alcuni libri o da un modo di pensare che ha condizionato tutti".
Cosa hai insegnato ai tuoi figli sul razzismo?
"Di non credere nei pregiudizi e nei luoghi comuni. Avremo una società sana quando ogni persona potrà ambire ad essere ciò che vuole nella vita e nella professione al di là del genere, del suo orientamento sessuale, del colore della pelle e della religione che professa".
Ti sei sentito più intergrato a Parma o a Torino?
"Mi sono sempre sentito integrato. A Parma è stata un'esperienza di vita fantastica, anche perché era la mia prima volta da straniero, e ho imparato tanto".
Infine un messaggio da ricordare: "Siamo tutti figli della storia. Se non stiamo attenti costruiremo un futuro in cui il modo di pensare renderà il mondo un posto peggiore. È accaduto in passato, non deve accadere più".